Laguna di Venezia

Capire i meccanismi della neurodegenerazione del cervello umano potrebbe aiutare a sviluppare una terapia farmacologica in grado di combattere malattie come Alzheimer e Parkinson.

Tuttavia, gli animali che vanno incontro a questo tipo di meccanismo sono di numero esiguo. Tra questi c’è il Botryllus Schlosseri, un piccolo invertebrato marino che vive nella laguna di Venezia. È dotato di un cervello rudimentale composto da poco meno di un migliaio di neuroni che, però, invecchiano come quelli dell’essere umano. È quanto scoperto da uno studio della Stanford University.

LA NEURODEGENERAZIONE NELLA LAGUNA DI VENEZIA

Grazie alle caratteristiche del suo ciclo vitale, è stato possibile studiare la sua neurodegenerazione sia nel breve periodo – nel processo di riassorbimento settimanale degli individui adulti – che nel lungo periodo – nell’invecchiamento dell’intera colonia. In entrambi i processi è stata osservata una riduzione del numero dei neuroni e delle abilità comportamentali.

In particolare, i ricercatori hanno notato come la degenerazione negli individui adulti cominciava con una diminuzione del volume del cervello qualche giorno prima della loro morte. Già dopo pochi giorni di vita, infatti, il numero di neuroni e la loro capacità di rispondere a stimoli esterni iniziava ad abbassarsi. Questi stessi segni di invecchiamento erano anche presenti in individui di colonie neoformate a sottolineare la presenza di due processi di neurodegenerazione: uno veloce e uno lento.

Ancora più incredibile è stato, però, osservare come in entrambi i processi fossero presenti geni che caratterizzano le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer o il Parkinson. Questi geni, pertanto, rappresentano una risorsa fondamentale per comprendere come l’evoluzione abbia modellato i processi neurodegenerativi. Non solo, ma il piccolo invertebrato della laguna di Venezia consente di stabilire le relazioni tra invecchiamento e perdita della funzionalità neuronale.

Questi risultati, quindi, potrebbero, in primis, aprire degli scenari nell’identificazione di un minimo comune denominatore tra patologie come Alzheimer e Parkinson. Al tempo stesso potrebbero aiutare nell’impiego di nuove metodiche di stimolazione elettrica cerebrale non invasiva per la prevenzione e la cura della neurodegenerazione.

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