Tutti noi abbiamo sentito parlare, almeno una volta nella vita, di placebo. Questo termine fa riferimento a una sostanza priva di proprietà terapeutiche; l’effetto placebo è il miglioramento delle proprie condizioni che il paziente sperimenta in seguito alla somministrazione del placebo, con la convinzione però del suo effetto curativo. Ma per cosa viene utilizzato il placebo e cosa fa innescare nel cervello l’effetto?

Placebo ieri e oggi

Placebo è l’indicativo futuro del verbo latino “placere”, pertanto significa letteralmente “io piacerò”.  Tuttavia, dal Medioevo cominciò ad assumere il significato di comportamenti falsi e menzogneri. Tale accezione deriva dal fatto che i cosiddetti “professionisti del pianto” cantavano un versetto della Bibbia, il quale, per un errore di traduzione, iniziava con “placebo”. Essendo queste figure pagate appositamente per aumentare l’impatto emotivo della celebrazione, è chiaro che il loro pianto fosse finto.

La parola “placebo” perse questo senso soltanto nel XVIII secolo. Un medico inglese, Elisha Perkins, sosteneva che il magnetismo delle bacchette di metallo passate sul corpo dei pazienti potesse curare malattie come reumatismi, gotta, infiammazioni, patologie cutanee, dolori, convulsioni e crisi epilettiche. Un suo contemporaneo, John Haygarth, provò questa pratica con delle bacchette di legno e ottenne lo stesso risultato benefico. Situazioni analoghe si verificarono anche in ambito chirurgico un secolo dopo. Il termine “placebo” assunse così il significato che tutt’oggi possiede.

Attualmente il placebo è per lo più utilizzato nell’ambito di studi e ricerche per testare l’efficacia di un farmaco. Durante l’iter, si confrontano infatti gli effetti di un gruppo che lo assume con quelli di un altro gruppo che assume un placebo. I gruppi di volontari, chiaramente, non devono essere a conoscenza di cosa viene loro somministrato, onde evitare un condizionamento psicologico che potrebbe inficiare i risultati. Ecco l’utilità del placebo.

Il circuito del cervello che innesca l’effetto placebo

Un gruppo di ricercatori dell’Università della North Carolina ha scoperto il meccanismo neurale alla base dell’effetto placebo. Lo studio, effettuato sui topi, è stato pubblicato su Nature. I roditori sono stati addestrati a riconoscere due camere con temperatura del pavimento differente. Quindi, hanno imparato che dopo essere stati nella camera col pavimento bollente, sarebbero passati in quella col pavimento a temperatura piacevole.

I ricercatori hanno notato che nel momento in cui i topi stavano per passare alla camera con temperatura gradevole, il dolore percepito cominciava a diminuire quando ancora si trovavano sul pavimento molto caldo; in altre parole, il sollievo veniva anticipato, ovvero il meccanismo che allevia il dolore si attivava già con l’aspettativa del sollievo.

In particolare, è stato osservato che, con l’aspettativa di sollievo, la corteccia anteriore lancia segnali che giungono fino al tronco encefalico e poi al cervelletto, innescando l’effetto placebo. Fino a questo momento era sconosciuto il coinvolgimento della parte posteriore del cervello nella percezione del dolore.

Questa scoperta apre la strada a ulteriori studi sul trattamento del dolore, con l’obiettivo di individuare terapie che sfruttino lo stesso meccanismo, più efficaci e con effetti collaterali ridotti.

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