I deficit di memoria sono i primi a manifestarsi nella malattia di Alzheimer, nonostante i sintomi possano essere variabili e talvolta possano essere confusi con il fisiologico declino cognitivo legato all’invecchiamento.
Inizialmente viene colpita la memoria a breve termine: la persona non ricorda fatti recenti o azioni compiute da poco. È frequente anche la dimenticanza di date e ricorrenze o dei posti in cui la persona ha riposto gli oggetti. Con l’avanzare della patologia, subentrano anche i disturbi della memoria a lungo termine, in particolare di quella dichiarativa episodica.
Come far fronte a tutto questo?
Affrontare la perdita di memoria dovuta all’Alzheimer
La perdita di memoria è una condizione molto destabilizzante sia per il malato che per i familiari. La persona colpita spesso si sente confusa e prova un senso di vergogna e frustrazione, motivo per cui cerca di minimizzare o nascondere il problema; d’altro canto, i familiari possono infastidirsi nel notare le dimenticanze di eventi, nomi, ricorrenze o preoccuparsi qualora l’amnesia comporti dei pericoli (dimenticarsi il gas acceso).
È tuttavia necessario offrire al paziente un adeguato supporto pratico ed emotivo, accettando i cambiamenti che la malattia determina nella vita di chi ne è affetto e di chi gli sta accanto. Per affrontare al meglio le conseguenze della perdita di memoria occorre cercare di mantenere un atteggiamento rassicurante e comprensivo nei confronti del malato, evitando di irritarsi, arrabbiarsi o sottolineare errori e dimenticanze. Aiutare la persona a ricordare le cose nella maniera più naturale possibile rappresenta un valido metodo.
Poiché l’amnesia porta con sé conseguenze problematiche, è bene adottare alcuni accorgimenti per facilitare la gestione della quotidianità. È fondamentale ridurre al minimo i cambiamenti, onde evitare di aumentare la confusione del malato. Creare un ambiente stabile, adattandolo alle nuove esigenze, e una routine giornaliera può essere di grande aiuto.
La condizione ideale sarebbe poter curare la malattia, strada ad oggi non percorribile. Tuttavia, uno studio accende le speranze, portando alla luce una scoperta che potrebbe segnare una svolta.
E se la memoria potesse essere ripristinata?
Un gruppo di neuroscienziati della Knight Initiative for Brain Resilience del Wu Tsai Neurosciences Institute di Stanford ha scoperto che bloccando la via della chinurenina, un regolatore del metabolismo cerebrale, si ripristinerebbe la memoria dei topi colpiti da Alzheimer.
Secondo le ipotesi degli scienziati, la via della chinurenina, a causa delle placche di proteina beta-amiloide viene iperattivata negli astrociti, un tipo di cellula fondamentale per il metabolismo dei neuroni. La sua iperattivazione interrompe il metabolismo del glucosio, privando quindi i neuroni di energia. Inibendo questa via e ristabilendo perciò il corretto metabolismo, la funzione cognitiva della memoria migliorerebbe o addirittura tornerebbe come prima, mentre le sinapsi sane riuscirebbero a mantenersi tali.
L’inibizione della via della chinurenina durante lo studio è avvenuta grazie a dei farmaci già noti in ambito oncologico. I topi hanno affrontato un percorso a ostacoli prima e dopo l’assunzione dei farmaci; i risultati hanno evidenziato miglioramenti nel metabolismo del glucosio nell’ippocampo, nelle prestazioni astrocitarie e nella memoria spaziale.
L’obiettivo successivo è passare alla sperimentazione di questi farmaci su pazienti umani affetti da Alzheimer, in modo da verificare se producono l’effetto positivo sortito sui roditori.
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