La ricerca scientifica sta portando alla luce scoperte sorprendenti con l’obiettivo di sviluppare metodi di diagnosi precoce e una cura definitiva per le malattie neurodegenerative. Tuttavia, spesso si tratta di risultati che necessitano di ulteriori conferme, soprattutto nella sperimentazione umana. La realizzazione di un sensore ottico che rileva i livelli di dopamina da un campione di sangue umano potrebbe rendere più concreta la speranza di una diagnosi precoce di malattie come il Parkinson.

Prima di analizzare i risultati di questa ricerca, è bene dedicare un breve approfondimento alla dopamina.

Cos’è la dopamina?

La dopamina è un neurotrasmettitore prodotto principalmente da una categoria di neuroni, detti appunto dopaminergici. In misura inferiore, anche le ghiandole surrenali si occupano di produrre questo neurotrasmettitore.

La dopamina è coinvolta in svariate attività del sistema nervoso centrale, quali:

  • il controllo del movimento;
  • il controllo delle capacità di attenzione e di memoria;
  • il controllo dell’umore e di alcuni aspetti del comportamento;
  • la regolazione del sonno;
  • la regolazione dei meccanismi di apprendimento e dei meccanismi di ricompensa e piacere;
  • la secrezione dell’ormone prolattina.

Per quanto riguarda il controllo del movimento, la dopamina svolge un ruolo cardine; infatti, se le sue quantità sono inferiori o superiori al normale, le capacità motorie ne risentono. Una carenza di dopamina, tipica del Parkinson, causa movimenti lenti e scoordinati; viceversa, un eccesso provoca movimenti incontrollati.

La dopamina entra in gioco anche nel sistema nervoso periferico per:

  • dilatare i vasi sanguigni;
  • stimolare la secrezione di sodio attraverso le urine;
  • favorire la motilità intestinale;
  • ridurre l’attività linfocitaria;
  • ridurre la secrezione di insulina.

Considerando la partecipazione della dopamina a tutte queste attività, risulta facile comprendere che il livello di questo neurotrasmettitore nell’organismo è un importantissimo indicatore, nonché biomarcatore per lo screening di alcuni tumori e di patologie neurologiche.

I metodi tradizionali fino a oggi utilizzati per la misurazione della dopamina sono la cromatografia liquida e la spettrometria di massa. Tuttavia, richiedono strumenti complessi, operatori specializzati e tempi di analisi lunghi. La soluzione però potrebbe essere a portata di mano grazie allo sviluppo di un sensore ottico.

Sensore ottico: un nuovo alleato per la diagnostica di laboratorio

I ricercatori della University of Central Florida, guidati dal professor Debashis Chanda del Centro tecnologico UCF NanoScience, hanno sviluppato un sensore ottico integrato in grado di rilevare la dopamina direttamente da un campione di sangue non trattato.

A differenza dei biosensori tradizionali, basati su elementi biologici come enzimi o anticorpi, questo sensore utilizza un filamento di DNA sintetico per rilevare la presenza di dopamina nel sangue con elevata precisione. La dopamina, ossidandosi sulla superficie del sensore, genera un segnale elettrico che viene captato grazie a nanoparticelle d’oro o nanotubi di carbonio.

Questo nuovo strumento offre diversi vantaggi:

  • risultati precisi e accurati grazie alla sua elevata sensibilità;
  • riduzione dei tempi di analisi e risultati in tempi brevi;
  • preparazione del campione di sangue non necessaria;
  • basso costo;
  • facile conservazione.

Il suo impiego potrebbe segnare una svolta nella diagnostica di laboratorio, in quanto permetterebbe di rilevare tempestivamente tumori, disturbi neurologici e psichiatrici. Non solo, diventerebbe più semplice anche la personalizzazione dei trattamenti e il monitoraggio della loro efficacia.

L’intenzione è quella di rendere il dispositivo adatto anche per l’individuazione di altre biomolecole, come proteine, virus e DNA. Questo sensore ottico potrebbe essere di grande aiuto nei Paesi con risorse mediche scarse e in cui vi è un limitato accesso ai laboratori di analisi. Tuttavia, affinché tutto ciò sia possibile, occorrerà affrontare alcune sfide: in primis, standardizzare e calibrare i dispositivi per il loro utilizzo su larga scala e poi confermarne efficacia, affidabilità e sicurezza attraverso ulteriori studi.

Ti è piaciuto questo articolo?

Ricevi il riepilogo mensile direttamente sulla tua mail.