Si chiama art therapy e nasce negli anni ’30 per merito di Adrian Hill, che la scopre durante la convalescenza per la tubercolosi. Dopo aver riscontrato i benefici nel processo di guarigione, l’art therapy viene poi adottata nel trattamento delle patologie psichiatriche e ad oggi, viene utilizzata anche come terapia riabilitativa per demenze e ictus.
Ma cosa prevede nel concreto questo tipo di terapia?
Tipologie di art therapy
L’art therapy può essere sia individuale che di gruppo e ha in entrambi i casi l’obiettivo di far esprimere al paziente emozioni che difficilmente riuscirebbe a tirare fuori. In questo modo, migliorano le capacità sociali e relazionali della persona e contemporaneamente vengono alleviati ansia, stress e depressione. Inoltre, a livello cognitivo, l’art therapy migliora le capacità di problem solving, aiuta a elaborare i pensieri astratti e a esplorare e percepire le relazioni spazio-temporali fra gli oggetti.
Il concetto di art therapy abbraccia non solo la pittura, ma tutta un’altra serie di attività, come la musica, la danza, il teatro e altre arti visive (fotografia, disegno, modellazione della creta…). Ognuna di queste tipologie può prevedere un approccio attivo o passivo.
Ad esempio, l’utilizzo della musica nell’arte terapia può consistere nel semplice ascolto di melodie e canzoni oppure nella riproduzione di suoni attraverso gli strumenti. O, ancora, l’ascolto può essere combinato con il disegno: gli stimoli uditivi, passando per l’elaborazione emotiva, possono essere tradotti in rappresentazioni visive.
L’evoluzione dell’approccio attivo ha portato all’ideazione di un modello di art therapy che unisce l’arte alla tecnologia.
Quando l’arte si fonde con la tecnologia
L’associazione fra arte e tecnologia nel campo riabilitativo è frutto di un progetto di art therapy della Fondazione Santa Lucia, che aveva l’obiettivo di stimolare il cervello danneggiato e potenziare la neuroriabilitazione degli arti nei soggetti colpiti da ictus.
Lo studio ha coinvolto 4 pazienti, i quali sono stati immersi in un ambiente di realtà virtuale. Qui, si trovavano di fronte a una tela bianca e avevano in mano un joystick, che nella stanza virtuale simulava un pennello. Muovendo il joystick con il braccio paralizzato, i pazienti “dipingevano” la tela. Infatti, coi movimenti del braccio, si muoveva anche un cursore che man mano riempiva la tela fino a ricreare un’opera d’arte completa.
Fra le opere di grandi artisti come Michelangelo, Botticelli e Picasso, quella che ha stimolato maggiormente i soggetti è stata la Creazione di Adamo di Michelangelo. Nello specifico, ha attivato in modo significativo i neuroni specchio, potenziando la riabilitazione. Proprio per questo motivo, questa pratica ha preso il nome di “Effetto Michelangelo”.
Nel corso delle sedute, ci sono stati evidenti miglioramenti delle prestazioni motorie dei pazienti. Il sistema di realtà virtuale consentiva infatti di registrare la traiettoria dei movimenti della mano che generavano il quadro e quindi di valutarne lunghezza e fluidità. Inoltre, poteva essere misurato anche il tempo impiegato a finire il dipinto. Questo insieme di informazioni ha permesso di valutare l’andamento del percorso di riabilitazione.
L’arte rappresenta quindi un efficace strumento per la neuroriabilitazione grazie al suo impatto considerevole sull’attività cerebrale.
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