Come si sa, sempre più persone ogni anno vengono colpite da una forma di demenza. La demenza non porta con sè solo sintomi a livello mnemonico. Ma anche molte problematiche come sintomi psicotici, agitazione, disturbi dell’umore come depressione, apatia e iperattività. Per questo motivo, la medicina si concentra da anni sull’individuare interventi personalizzati per attenuare i sintomi associati a questa condizione. Attualmente sono disponibili diverse terapie per il trattamento non farmacologico delle demenze. Un intervento che trova ampio utilizzo nella pratica clinica è la cosiddetta terapia della bambola, in inglese Doll Therapy.
QUANDO NASCE LA DOLL THERAPY?
Secondo alcuni studiosi, la doll therapy nasce all’interno della terapia del giocattolo, che si è diffusa negli anni ’80 in America e in Australia. Secondo questi studi, l’uso dei giocattoli nelle persone adulte con demenza, favoriva sentimenti positivi come sicurezza e serenità. Ma portava anche a miglioramenti dal punto di vista sociale, grazie ad una più agevole comunicazione con gli altri. Ma soprattutto grazie alla diminuzione di comportamenti aggressivi.
Altri invece, fanno risalire la terapia alla teoria dell’attaccamento. Formulata negli anni ’60 dallo psicologo John Bowlby, prevedeva che la ricerca costante di contatto reciproco del bambino e del genitore fosse la conseguenza di un istinto primordiale. Questo desiderio, tendente ad evolversi in una forma di accadimento dell’altro, può anche avvalersi di un oggetto grazie al quale l’interazione con gli altri può essere resa più intensa. Da questa teoria prendono avvio tutti gli studi inerenti alla terapia della bambola. In Italia è il dottor Ivo Cilesi colui che si è occupato della sperimentazione e conseguente diffusione della doll therapy.
I BENEFICI DELLA DOLL THERAPY
Diversi studi riportano numerosi benefici dopo aver integrato l’utilizzo delle bambole nelle terapie non farmacologiche. Uno dei primi risultati positivi riguarda la riduzione dello stato di agitazione, dell’aggressività e degli stati di ansia in generale. Difatti, concentrare le proprie attenzioni sulla bambola e assumere atteggiamenti di dolcezza e affetto permettono al malato di rilassarsi. Inoltre, tutto ciò porta benefici anche sull’alternanza sonno-veglia, limitando l’insonnia.
Un altro aspetto positivo può essere legato anche al risveglio di ricordi piacevoli. Se l’anziano in questione è genitore o ha avuto occasione in passato di prendersi cura di un bambino, il gesto di cullare la bambola cantandogli una ninna nanna può riportare alla mente emozioni e sensazioni legate a un momento felice della sua vita.
La bambola, inoltre, può diventare un elemento fondamentale per creare delle relazioni con gli altri. Come con gli ospiti della struttura o con i caregiver. Si riduce l’apatia e il paziente viene stimolato a lasciarsi coinvolgere nelle attività che provengono dal mondo esterno, migliorando anche la memoria. Proprio i sanitari e i caregiver, in molti studi, sono mediamente propensi a utilizzare la doll therapy. Il beneficio riscontrato, infatti, non riguarda solo il malato ma anche coloro che quotidianamente si occupano dell’assistenza.
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