L’uso di protesi fonatorie è ormai ampiamente diffuso e serve a facilitare la produzione della voce. Nuova e totalmente sperimentale è invece la protesi vocale, che sarebbe in grado di sopperire alla perdita della capacità comunicativa nei pazienti con linguaggio compromesso a livello cerebrale. Patologie come ictus, demenze e Sla causano infatti frequentemente gravi disturbi del linguaggio, e nei casi più gravi la completa perdita di questa funzione cognitiva.

Ma come funziona questa protesi vocale?

Strumenti tecnologici per far fronte ai disturbi del linguaggio

Quando non è possibile recuperare la capacità di linguaggio, si genera una condizione piuttosto invalidante per il paziente. Prima di entrare nel merito della protesi vocale, è bene ricordare che esistono già dei metodi per aiutare le persone con disturbi del linguaggio. Si tratta di una serie di tecnologie in grado di sopperire ai disturbi linguistici permettendo ai soggetti che ne soffrono di comunicare senza disagi.

Fra queste soluzioni innovative troviamo:

  • i dispositivi di comunicazione aumentativa e alternativa (CAA), come le app per la generazione del parlato o le schede di comunicazione dedicate, che permettono di comunicare attraverso simboli, immagini e parole preregistrate; il noto fisico Stephen Hawking faceva uso di uno di questi dispositivi;
  • i software di sintesi vocale, che convertono il testo scritto in lingua parlata;
  • le interfacce silenti, le quali intercettano i segnali tracciando il movimento dei muscoli articolatori mentre la persona pronuncia le parole senza emettere alcun suono, li interpretano e convertono in linguaggio parlato.

Tuttavia, questi sistemi presentano dei limiti, in quanto il soggetto potrebbe soffrire contemporaneamente di altri disturbi legati al movimento, non riuscendo magari a scrivere, a muovere gli arti o i muscoli della faccia.

Una neuroprotesi vocale per chi ha il linguaggio compromesso

Uno studio dei ricercatori dell’Università HSE e dell’Università Statale di Medicina e Odontoiatria di Mosca, pubblicato sul Journal of Neural Engineering, ha presentato un nuovo sistema per ripristinare la funzione comunicativa senza incorrere in limitazioni dovute ad altri disturbi.

Si tratta di un modello di apprendimento automatico in grado di prevedere la parola che sta per essere pronunciata da un soggetto. Ciò avviene grazie alla registrazione della sua attività neurale attraverso un piccolo set di elettrodi minimamente invasivi, le protesi vocali.

Durante la ricerca, i soggetti coinvolti hanno letto ad alta voce sei frasi di 26 parole, diverse nella struttura e ciascuna presentata da 30 a 60 volte in un ordine randomizzato. La maggior parte delle parole all’interno di una singola frase iniziava con la stessa lettera. Mentre i soggetti leggevano, gli elettrodi registravano la loro attività cerebrale.

Questi dati sono stati poi allineati con i segnali audio per formare 27 classi, di cui 26 di parole e una di silenzio. Il dataset di addestramento risultante (contenente i segnali registrati nei primi 40 minuti dell’esperimento) è stato inserito in un modello di apprendimento automatico con un’architettura basata su una rete neurale. Tale architettura, analizzando i dati dell’attività cerebrale registrata, prevedeva la parola o il silenzio successivo. L’accuratezza raggiunta è stata del 55%.

Il vantaggio di questa soluzione è che le interfacce cervello-computer  sono controllate direttamente dal cervello senza bisogno di una tastiera o di un microfono. Perciò, gli individui con linguaggio compromesso che abbiano ulteriori concomitanti disturbi, possono affidarsi alla protesi vocale per comunicare. Tuttavia, tali neuroprotesi devono essere impiantate in un’area limitata della corteccia cerebrale poiché altrimenti presenterebbero rischi significativi per i pazienti.

L’autore principale dello studio ha affermato che, se non utilizzate su ampie aree, queste interfacce comportano rischi minimi per i pazienti e potrebbero essere impiantate in regime ambulatoriale con anestesia locale.

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